Il nuovo spettacolo: "Panopticon Maldoror"

“La Luce risplende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno potuta incatenare” (GV 1:5)

Panopticon Maldoror

Tre attori in scena accompagnati da un musicista che crea ambienti scenici per il doppio teatrale inconscio del pubblico.

Un "Wunderkammerspiel" (con elementi della Sprechesang) sulla libertà e sulla funzione per opposto del controllo esercitato dai Lumi e dalle istituzioni a cavallo tra Illuminismo e Romanticismo.

In Panopticon Maldoror si è scelto di studiare, rileggere e celebrare l’opera del conte di Lautréamont, al secolo Isidore Ducasse e la filosofia di Michel Foucault. Come per i precedenti spettacoli della trilogia questo è appunto frutto della comparazione tra l’opera poetica di un autore fondamentale per le avanguardie del secolo precedente e la sua rilettura nell’ottica della filosofia contemporanea. La pièce è un’interpretazione paranoico critica dei due autori francesi dalla quale nasce un fantomatico cadavere squisito, svelato a teatro. Il lavoro di ricerca iconografica e testuale sulla figura di Maldoror costituisce parte di un percorso formativo e performativo, realizzato attraverso molteplici laboratori teatrali. La rilettura dei Canti si è svolta adottando lo sguardo filosofico-critico di Foucault in Sorvegliare e punire per quanto concerne la funzione dello sguardo nell’attuazione del potere istituzionale e la posizione gerarchizzata del corpo nel momento in cui tale potere viene esercitato. Questa comparazione mi è apparsa da subito bella come l’incontro fortuito di un ombrello su di una macchina da cucire, ma con più correlazioni e punti d’intesa di quel che lascerebbe immaginare a un primo sguardo fugace. Il fascino che scaturisce dall’opera di Ducasse nasce anche perché questa ha in sé componenti a mio avviso puramente teatrali: il gioco dell’autore che con fare schizofrenico passa nella narrazione dalla prima persona singolare, alla seconda, fino alla terza, ex professo e senza preavviso. Non sappiamo mai se a parlarci è Maldoror, Isidore Ducasse o ancora il suo pseudonimo e alterego: il conte di Lautréamont. Il poema epico era quindi già pregno di un senso teatrale, dove regista, attore e personaggio giocavano eternamente con i loro ruoli.

Sebbene questo capolavoro della letteratura maledetta francese, Ducasse è morto a soli ventiquattro anni e il protagonista del suo romanzo nero è un ipotetico antidio, sia estremamente visionario e difficilmente riducibile per la drammaturgia (più vicino alla video arte che alla messa in scena) ci siamo voluti concentrare sul gioco di interpretazione e possessione di spiriti e personaggi e sulle numerose metamorfosi che si trovano nel testo , facendone un ecfrasis, accentuandone così la componente più propriamente teatrale. La rilettura e riduzione che ne risulta è un’opera originale che intende solo omaggiare il libro di Ducasse, inventandone un nuovo contesto e una nuova trama.

Aragon nel 1922 scriveva del Maldoror che è cinema cerebrale (negli anni in cui ancora non c’era il sonoro). Il percorso teorico teatrale interpretato ha avuto inizio nella trilogia (Quarta parte per BE.Albedo-2008-e L'Estasi della Neve-2010-) per ripensare al ruolo del cinema nei confronti del teatro e delle altre arti. Si noterà infatti che la parola più ricorrente nei Canti dopo Dio, cuore, amore e anima (questi vengono ripetuti ossessivamente fino a svuotare completamente le parole dal loro senso, diventando significanti, mantra per la mente del lettore, vuoti simulacri) è appunto occhio. La natura visionaria e allucinatoria del testo ne rivela il motivo, ma anche il rapporto intrinseco che questo ha con il senso del vedere e dell’immagine. Maldoror nei momenti che risultano teatrali nel testo è per noi già cinema in potenza. Il gioco psicoanalitico di proiezione ed identificazione poi lo connette costantemente al gioco teatrale.

Anche il Panopticon (progettato da Bentham nel 1791) a suo modo, sia per la componente sadica da voyeur, per il gioco di riflessi e ombre, per la nuova posizione creata per l’analisi del corpo umano e il nuovo potere dato a occhio e immagine si può pensare a suo tempo come un proto-dagherrotipo, il lontano embrione del futuro cinematografo.

Maldoror è un’opera perfetta per la rilettura foucaultiana: il ruolo dell’occhio e del potere al momento in cui viene esercitato il sistema di detenzione, punizione e correzione; la colpa (qui da intendere in accezione più ampia, che comprenda anche il senso di colpa religioso e poi psicoanalitico nei confronti di un “padre”, celeste o terreste e di conseguenza di un sistema autoritario) che da tale processo scaturisce, e per concatenazione il processo di analisi e confessione che esso comporta (anche qui legato al sistema sia penale che religioso che psicoanalitico) sono lo scheletro di tutta la creatività di Lautréamont. L’autore stesso d’altronde cita continuamente il sistema penale e il modo di esercitare castighi nel suo romanzo, e la componente visiva, proprio come per la struttura delle società panoptiche, è centrale nella creazione dell’universo dei Canti. L’attrazione a questo testo nasce anche per la rottura degli schemi e limiti narrativi classici che la caratterizzano e la rendono un’opera che sconfina nelle altre arti. La ribellione, la rottura delle convenzioni e del formalismo accademico ne hanno fatto a suo tempo infatti l’interesse nella riscoperta da parte degli artisti delle avanguardie successive.

Nello spettacolo ritroviamo quindi la lettura comparata tra il lato più sadico e punitivo dei Canti e la funzione punitiva per come ci viene spiegata da Foucault nei suoi saggi. Si vedrà battersi in scena senza posa: emozioni contro intelletto, Illuminismo contro Romanticismo, ideologia, giudizio e moralità contro ribellione, follia e immoralità. Questi, come se fossero rappresentati in dei carri allegorici, vengono interpretati dai tre personaggi. Maldoror gioca con il suo Spirito tanto da non essere più lui stesso Maldoror, è l’adolescente ribelle che sfida la morte, con fare luciferino si contrappone al Potere per cercare di eguagliarlo, e come lui proverà a fare a suo modo l’uomo nei progetti di detenzione, punizione e correzione.

Quest’uomo che riesce a giungere nel luogo sacro di Maldoror, (la caverna, come ritorno, anche psicoanalitico all’eterna forclusione del paradiso intrauterino perduto) e del luogo teatrale tout court, lo fa irrompendo dall’alto, calandosi come un Deus ex machina. Si infrange quindi funzione e poetica classica di tale coup de théatre e se ne inverte i procedimenti: l’uomo (e non il Dio) interviene a inizio opera e non avendo le stesse funzione divine (anche se, per antinomia, le attribuisce all’uomo, come è successo nell’elaborazione concettuale del panopticon) complica la situazione invece di risolverla, divenendo quindi antieroico(tanto quanto il personaggio di Maldoror). Le attribuzioni e funzioni divine fornite da  Lautréamont al protagonista del suo romanzo diventano  invece nella messa in scena archetipiche. L’Alchetipo-Maldoror si eleva sull’umanità (come l’uomo che diventa divino nella mitologia classica) per agire su di essa sul piano ctonio “strappandoci via il cuore dal petto”, facendo perdere l’innocenza al puer, qull’innocenza perduta da tutte l’infanzie che stanno per diventare adolescenze dell’umanità: iniziare a ribellarsi all’idea di morte e di autorità, sfidarla e ad essa contapporsi. Chi è l’adulto quindi in questo processo? Come voleva Hillman è il senex puer, (integrando così due aspetti di uno stesso archetipo) l’uomo scimmia, l’attore del mito di Sisifo di Camus, colui che sostiene la tensione tra vitalità e ordine, colui che con consapevolezza e saggezza muove il suo gioco interpretandolo come un attore che fa Anima.

Duccio Scheggi - Inverno 2014

Colori: Nero, bianco, verde, marrone, grigio.  

Una produzione : Cadaveri Squisiti in collaborazione con Theatrikos.

Regia e Drammaturgia di: Duccio Scheggi

Interpreti: Aniello Ciaramella- MALDOROR;  Lavinia Sarchi- Laura Damian; Speleologa

Fotografie e video: Christian Brogi

Musiche Video: Patrizio Colagiovanni

Video Caverne: Luca Deravignone

 Costumi: Marta Montanelli  

Accessori: Veronica Finucci

Opera grafica : Samantha Vichi

Musiche Live e voce speleologo: Lorenzo Marzocchi

 Scenografia di scena: Veronica Finucci; Anna Benedetto; Simone Ruco; Maison Ròde e Samantha Vichi.

Consulenza iconografico tarologica: Lisa Lelli

Ha scritto di noi LAMparole:

"Anche nel titolo sembrerebbe prendere il sopravvento il “Famo strano” che farciva tempo fa palcoscenici di teatri piccolo medi in Italia e non solo. Invece Panopticon Maldoror di Duccio Scheggi merita una attenzione a parte. In primis perché la sua ricerca parte o meglio: scaturisce da quel mondo di simboli oscuri, direi ispanico – latini, mixati con surrealismo e dintorni di Alejandro Jodorowsky, che viene in mente già dalle prime battute, luci, suoni, dello spettacolo. E dal suo cinema psichedelico sembra proseguire in stile, questa pièce detta commedia drammatica o dramma comico, come a prelevare il dramma dalla commedia e la comicità dal dramma, verso paradossi. Qui si unisce ricerca personale dell’autore-regista, che nel teatro riflette-unisce la propria visione creativa spirituale. È interessante questo coraggio, quando tutto sembrerebbe tendere nelle scene di oggi e sempre, ad una accattivante uniformità da cassetta per riempire posti a sedere. Colmo di simboli archetipi dove le parole, ascendono ad una forte letterarietà, rimandano ad un sospeso lirismo. A farla da padrone sono anche alcune carte dei tarocchi predominanti dal manifesto. È dunque un mondo oscuro, popolato da un ex ‘umano’ fattosi ‘demone’, che vanno a ricercare nella caverna sotterranea dei sogni i due speleologi. E qui illusi credono di sfruttare a loro fabbisogno le possibilità sulla terra di Maldoror , cieco sfigurato lettore di anime, toglierlo dal suo nido simbolico archetipico, non capendo che è un gioco rovesciato, è proprio questo semi demone a possederli, incatenarli mente, corpo, soprattutto anima, al loro sogno a sognarli e gestirli tanto da trasformarli in marionette, burattinandoli in personaggi con voci diverse. Si evoca una marionettizzazione, manipolazione delle menti fatta nella società occidentale, attraverso mezzi di persuasione a disposizione. Sono i media che il potere usa per controllare le menti, i demoni che gestiscono i sogni per possederne le anime. Particolarmente riuscito il grottesco inglese inserito con accenno di balletto e canzone, che richiama alla manipolazione dei vari: jazz, country, gospel, ecc, che riempiono prima di tutto emozioni e menti di presunti cantanti e musicisti trasformandoli in finti liberi, illusi automi compiaciuti. Questa manipolazione quotidiana non è forse opera di qualche occulto Maldoror, Mal – d’or – orror? Sembra la parola compressione di male oro orrore, simboli delle nostre società. Il gusto tutto demoniaco di possedere le masse che si vendono l’anima. Dio, cuore, amore, anima sono ossessioni delle creature oscure. Quando pronunciano il nome dell’entità superiore, brilla la luce a ricordarci la blasfema bestemmia. Le allucinatorie visioni dei video ad apertura e chiusura, le sonorità elettroniche, fanno da sostegno alle parole recitate, urlate, accentate dialettalmente. Ribellione di avanguardie dove confliggono, fattisi carri allegorici: mondo, convinzioni mentali e filosofiche. Mente e pensiero combattono le emozioni, Illuminismo contro Romanticismo, Ideologia – giudizio moralità contro ribellione, follia, immoralità. La cultura del conflitto del contro emerge della disomogeneità del caos. Come rendere sceniche queste eterne conflittualità di crescita? Il tema della correzione – punizione, emozioni nei video sgocciolanti di rosso sangue – saliva, mentre gli attori rimangono composti, fronte pubblico. Spettacolo – ricerca in divenire. E ci viene da ricordare due stupende visioni simbolico oniriche testamentarie della storia del teatro: i Giganti della montagna pirandelliani, la Tempesta shakespeariana irraggiungibile nella versione cinematografica. Calibano e Maldoror sono esseri cavernicoli di dantesca memoria. Crotone, II nano Quaquèo, Arcifa, Dornio, Cuccurullo, Bollacchiano, Bolaffio, Carocchia, Urna, Lopardo.. esseri storpi in questo mondo, assumono la loro bellezza oltre l’imposizione dello charme – fashion che impone freddi modelli di celluloide. Solo nell’oscurità bestemmia lo storpio, sfiata urlante, laddove grugniti dialettali, mosse storpie, vivono nutrite dalle nostre paure, ricordandoci che l’aspetto corporeo è illusione effimera mortale. Il bambino interiore negato ucciso da un ‘adulto’ folle immaturo acerbo, non trova la via-pace, si barcamena nel labirinto del mondo che gli appare caos, nelle sue celle stanze emotivo- mentali. "

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FOTO DI CHRISTIAN BROGI, GIULIA CARL11070991 446427728863888 9056588239230834813 n11110162 448651108641550 477813138172569042 n11193263 448650535308274 5475703530896850387 n11201199 448917065281621 5979402245012555948 n11204982 448916838614977 5476830922291022812 n11209354 448650908641570 3433537084456776624 n11694933 558241721015821 6955645790699083693 n12509569 538898359616824 7660628017854072472 n12540599 538897992950194 4810855531445087814 n12549066 538898582950135 2638181859525913253 n12565575 538898956283431 1930940225211398483 n12715800 553048948201765 2524051201520468209 n12806004 558242314349095 4844620549398661166 nI

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